Replying to The caretaker

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  1. Posted 12/10/2015, 17:38
    Una serie di impulsi elettromagnetici parte da un cellulare, arriva fino ad un ripetitore, che, con il bagher più potente mai realizzato, lo scaglia al satellite, che lo schiaccia verso il suolo, dove un altro ripetitore lo alza per il mio cellulare. Drin drin. Come se i telefoni facessero ancora drin drin. Uso talmente poco la suoneria da non essermi nemmeno disturbato a cambiarla da quando ho resettato il cellulare. Comunque rispondo ed è Carlo.

    Emulo delle prodezze di cugini ad alta frequenza della luce, una serie di impulsi passa dal mio orecchio al cervello al sistema linfatico. Adrenalina pompata nel sangue, serotonina che si aggrappa alle sinapsi, mascella che si serra.

    Lo riconosco subito, ma devo essere sicuro. Chiedo chi sia e mi risponde. Forte tentazione di chiudere la chiamata.

    "Cosa vuoi?" razza di tossico schizofrenico e putrido lo aggiungo dopo aver chiuso le virgolette.

    E comincia scusandosi per tutto quello che è successo a Napoli.

    "Carlo, quello che hai fatto è troppo grave per delle semplici scuse telefoniche." Ci penso. "Non voglio più avere niente a che fare con te e basta." Non sia mai che gli venisse in mente di venire fin qui a scusarsi.

    Ma non ha chiamato per questo. Ha chiamato perché mia madre ha un tumore. Ci metto un po' a capirlo. Ascesso in gola. TAC e liquido di contrasto ed un sacco di termini medici usati con la padronanza che può avere aquaman di un becco bunsen, uniti ad un certo turbamento nella voce rendono difficile capire finché non dice: "nove su dieci è benigno".

    Mia madre ha un tumore. Questi fatti risalgono ad oltre una settimana fa, ed ancora non ho digerito come la cosa mi faccia sentire. Posso andare per esclusione e lasciar perdere la gioia; pur nutrendo un certo astio nei suoi confronti, che non si estinguerà mai veramente del tutto, è mia madre. Tirando le somme tra il bene ed il male, l'empatia e la simpatia, è una persona a cui voglio bene, ma non è solo quello.

    È mia madre. No, non è proprio così. Perché mia madre non è quella che mi ha abbandonato 23 anni fa, non è quella che se ne sbatteva di chiedermi i miei sentimenti prima di dedicare un monumento mortuario a mio nome a mio fratello, non è quella che ha permesso che non rientrassi nei parenti prossimi nel santino distribuito a chi ha partecipato al funerale.

    Ha lo stesso nome e cognome, biologicamente è identica ed è lei, in una certa misura, ma non è veramente mia madre. È più complesso di così: mia madre è solo una parte di quella donna. Dentro quella donna c'era la giovane ragazza bionda che aspettavo con occhi grandi come il mondo accanto alla porta di casa, sussultando ogni volta che si muoveva l'ascensore, che quando entrava in casa portava gioia (n.o.), allegria e... famiglia.

    E razionalmente non è così. Razionalmente so che quella donna, mia attuale coetanea, non esiste davvero, non è mai stata una parte distinta e separata della persona che la racchiude.

    Un fatto è però sicuro. Se muore quella donna, tutto ciò che ho chiamato "mamma" morirà con lei. La sua parte migliore.

    E la parte peggiore? La donna che stava fuori a farmi aspettare, quella che è scomparsa per giorni lasciandomi solo con una baby sitter non pagata, che ha seguito un altro uomo e, perché no, un altro figlio a mille chilometri di distanza, l'avatar dell'abbandono che tanto ha caratterizzato la mia vita?

    Io ho la mia personale visione della giustizia. Sì, forse quella parte meriterebbe di morire. Probabilmente, però, l'ha già fatto. È morta un poco alla volta, annegata in tutto il dolore che ha dovuto affrontare nella vita.

    Mi torna in mente l'anziano a cui doveva badare un po' di tempo fa: in sintesi, gli faceva da badante e curava la casa di questa coppia, loro volevano licenziarla, ma le hanno comunque chiesto di andare da loro a badare al vecchietto una volta al giorno per un paio di ore, perché questi ne sentiva troppo la mancanza. Lei ha valutato l'idea perché si sentiva male all'idea di abbandonarlo.

    Forse lei non è più in grado di abbandonare. Ed è un peccato, visto chi si deve tirare dietro in questo modo.

    No, non ci può essere nessuna gioia nella morte di mia madre; so che sembrerebbe scontato, ma è il poco da cui posso partire per capire quello che provo. Perché quello che sento è solo una grande stanchezza, che mi rende pesanti le membra.

    Ma vado avanti.

    Paura e tristezza. Preoccupazione, ansia, per essere esatti. Sì, ce n'è tanta. Per me e per mia sorella. Io non mi posso permettere di sprecare un altro anno della mia vita sul letto di morte di mia madre. Proprio no. Questo è chiaro nella mia testa e diventa ancora più chiara ora che ordino questi 0 ed 1 sul world wide web. E mia sorella? Il discorso è simile, ma se mia madre dovesse morire, rischierebbe di farlo anche mia sorella. Non le resterebbe nessuno. Non quella feccia di suo padre. Non l'ancora peggiore nonna paterna. Non me. Non davvero. Sono troppo lontano.

    Ormai mia sorella è troppo grande per una madre "surrogato". La sorella di Carlo, brava donna, sarebbe stata un candidato perfetto, ma adesso, a 20 anni, non le darebbe retta abbastanza. Non mi fido di nessun altro per prendersi cura di lei.

    Ed io posso farlo? Come?! Lei è a mille km di distanza. Di raggiungerla in pianta stabile non se ne parla, neanche un po'. Ed è altrettanto inverosimile che lei venga da me, lasciando dietro padre, nonna ed amiche. La morte di mia madre sarebbe più che tragica per mia sorella. Sarebbe fatale, in senso letterale. Se Mario era il suo punto di riferimento, la stella polare, mia madre è la terra sotto i suoi piedi, l'unica cosa rimasta a sorreggerla. Una specie di "Gravity" emotivo, una ragazza alla deriva in uno spazio buio e morto, dove il fondo è in ogni direzione.

    Il disgusto non è pertinente alla situazione, dato il mio ateismo convinto, altrimenti mi farebbe davvero schifo dio.

    Ed eccomi qua. Ad affrontare la cosa un poco alla volta, giorno per giorno. Tengo la guardia alta e sono pronto a difendermi come posso, ma una cosa l'ho decisa e riempie ogni mio pensiero, facendo accapponare la pelle con la rabbia.

    Non andrò a terra. Non stavolta. Non mi interessa quali sventure si prospettano all'orizzonte, quanti colpi dovrò incassare e nemmeno se dovessi affrontare di nuovo la solitudine (vivaddio cosa improbabile). Io non andrò a terra, non poggerò nemmeno un ginocchio. No, perché adesso, a differenza di 5 anni fa, lo so.

    Tutto andrà bene alla fine.

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